Per le tasche degli italiani la crisi è come la guerra

Roma -

E' cosa nota che durante e dopo ogni guerra, vinta o persa che sia, si assiste ad una redistribuzione consistente della ricchezza di un paese che sposta beni e denari dalle fasce di popolazione più povere a quelle più ricche, con concentrazioni paradossali di enormi ricchezze in pochissime mani.

L'attuali crisi economica sta producendo lo stesso malsano effetto con il conseguente impoverimento di milioni di persone e l'estremo arricchimento di pochi.

I dati emersi in questi giorni e tratti da uno studio della Banca d'Italia, sono così chiari da risultare brutali.

Nel 2013 i 10 (dieci!) italiani più ricchi possedevano 98 miliardi di euro contro i 58 miliardi del 2008 con un aumento del 70%.

Nello stesso periodo il 30% di italiani più poveri (circa 18 milioni) sono passati dai 114 miliardi del 2008 ai 96 del 2013, con una riduzione del 20%.

Quindi in questi 5 anni, mentre circa un terzo degli italiani diventava sensibilmente più povero perdendo mediamente il 4% della loro “ricchezza” ogni anno, i 10 “Paperoni” italiani aumentavano i loro redditi e le loro ricchezze, quasi raddoppiandole, ad un ritmo medio del 14% ogni anno.

Se insomma 5 anni fa la differenza economica era già enorme la crisi ha aumentato il divario in modo impressionante: più avanza la crisi e più i ricchi diventano più ricchi. 18 milioni di italiani hanno visto invece aumentare il loro stato di povertà, ridursi il proprio reddito, sperimentata l'impossibilità di curarsi adeguatamente, mentre in tanti hanno perso il lavoro e magari anche la casa.

Se poi a questo sommiamo il fatto che l'analisi riguarda la ricchezza di soli 10 individui, si può facilmente dedurre che se avessimo preso in esame i 20, 30 o 100 italiani più ricchi, lo squilibrio tra questi numeri e quelli dei più poveri sarebbe risultato ancor più stridente.

Come anche c'è da tener conto che siamo ormai entrati in una situazione internazionale sempre più drammaticamente vicina ad una vera guerra diffusa tra regioni e aree economiche, politiche e culturali del mondo che sicuramente produrrà ulteriori squilibri sociali.


Un sistema che prevede differenze economiche e sociali di queste dimensioni non può più essere corretto semplicemente con un diverso prelievo fiscale, magari più equo, e neanche con patrimoniali più o meno leggere, perché anche se tali provvedimenti venissero adottati, i meccanismi che ormai vengono imposti a 60 milioni di italiani verrebbero comunque modificati per riprodurre gli stessi margini di guadagno per grandi gruppi industriali e finanza nazionale e internazionale.

E' proprio questo sistema che ormai produce e riproduce l'ingiustizia sociale e l'iniqua distribuzione della ricchezza.

E allora c'è da chiedersi come mai la maggioranza di quelle forze sociali, sindacali e politiche che dicono di essere coscienti di questa situazione, non si dichiarino inequivocabilmente per l'apertura di una fase di aperto conflitto sociale e non lavorino per svilupparlo.

E' necessario battere culturalmente l'ineluttabilità di tali squilibri e la logica del cosiddetto “mercato”, indicare una via alternativa, percorrerla con convinzione, senza aver timore di agire quel conflitto sociale che, solo, può inceppare questo iniquo sistema economico.