"A cu' si fa' pecura, lu lupu si lu mangia!"

Tsipras doveva rompere la gabbia: accettare le regole della Troika è un suicidio!

Da Sud a Sud per costruire nelle lotte del movimento internazionale dei lavoratori l’ALBA MEDITERRANEA

Nazionale -

Ettore Gallo intervista Luciano Vasapollo

Pubblichiamo l’intervista al Prof. Luciano Vasapollo, marxista, critico dell’economia e docente all’Università di Roma "Sapienza" e alle Università de La Habana e Pinar del Rio (Cuba), nonché direttore del Centro Studi CESTES dell’USB-Unione Sindacale di Base e dirigente politico comunista da oltre quaranta anni.

L’intervista è di Ettore Gallo, studente e militante del Collettivo Economia La Sapienza; deriva da una lunga collaborazione, di cui ricordiamo un’intervista-conversazione alla vigilia delle elezioni europee del maggio 2014 (link) e la partecipazione dello stesso Prof. Vasapollo a un’iniziativa promossa lo scorso maggio dal Collettivo Economia sullo sviluppo economico e le prospettive politiche dei Paesi dell’ALBA (video)



Tsipras è stato messo davanti un aut aut: accettare l’accordo o spingere il proprio Paese verso prospettive che di fatto Syriza non aveva mai preparato, come l’uscita dall’Eurozona. Crede ci sarebbe potuta essere una alternativa?

Sono francamente dispiaciuto che Tsipras abbia pensato ci fossero solo due strade: o accettare queste regole o il suicidio per il Paese. Non è così: il suicidio per il Paese è accettare queste regole. Per un Paese come la Grecia che non ha sovranità, democrazia, possibilità di sviluppo, non riesce a pagare neppure gli interessi sul debito e in cui il potere d’acquisto si riduce del 60-70%, l’unica prospettiva, rimanendo in questo campo di scelte, è di asservire il popolo greco agli interessi della borghesia transnazionale europea.

Ad esempio un’altra posizione politica che si fosse mossa nell’interesse reale dei lavoratori, disoccupati, pensionati greci, sarebbe stata quella di giocare tatticamente andando al tavolo delle trattative forti del 61% dell’esito referendario, non accettando le regole imposte e dichiarando di non dover e voler pagare il debito, effettuando invece investimenti sociali per far uscire i lavoratori greci dalla povertà provocata dalla crisi del capitale. Si dice che la Grecia sarebbe andata in default, ma contro un soggetto e un modo di fare di un modello di capitalismo c’è sempre un altro modello-soggetto capitalista, che in questa fase è rappresentato dalla maggior parte dei rappresentanti dei BRICS in qualità di competitori internazionali. Ovviamente ciò avrebbe avuto importanti ripercussioni dal punto di vista geopolitico, dato che la Grecia fa parte della NATO ed è una sorta di una portaerei degli eserciti occidentali nel Mediterraneo al pari dell’Italia. Gli Stati Uniti difficilmente avrebbero accettato che la Grecia potesse uscire dalla loro area d’influenza ma è su questo piano che bisognava far valere la minaccia nei confronti dell’Unione Europea, era anche su questo terreno di uno scontro sul piano politico e geostrategico che si sarebbe dovuta giocare la partita da parte di Tsipras e il suo governo.



C’è da notare comunque che Russia e Cina hanno titubato nel momento decisivo.

Certo, ma perché Russia e Cina avrebbero voluto un accordo complessivo. La Russia avrebbe concesso gli aiuti solo in cambio di una modificazione radicale nelle forniture energetiche greche a favore delle imprese russe. Il secondo problema fondamentale è la mancanza di un accordo geopolitico di portata storica, considerando anche l’eterno scontro fra Russia e Germania, e tanto più oggi fra BRICS da una parte e Stati Uniti dall’altra.

È chiaro come oggi lo scacchiere internazionale sia in una sorta di attesa, quasi la percezione di una mobilità attenta strategicamente in un immobilismo tattico: ad esempio gli Stati Uniti propongono accordi tattici con Cuba, ma poi tentano di strozzare il Venezuela per far crollare l’intera alleanza dell’ALBA; da un lato di inasprisce la competizione globale fra area del dollaro e area dell’Euro, ma dall’altro si velocizzano i tempi per siglare il Trattato TTIP e così tagliare fuori i BRICS rendendoli perdenti nella competizione globale. Stesso discorso per l’accordo con l’Iran sul nucleare per sancire un’egemonia che traballa in Medioriente.

La verità è che la grande leadership statunitense degli anni passati non c’è più, la guida unipolare del mondo è finita.



Molti imputano a Tsipras e al governo ellenico di non aver mai avuto un piano B durante le trattative con le istituzioni europee. Il problema è davvero solo di strategia o piuttosto è mancata una tattica di più lungo respiro?

Non credo sia un problema di piano A piuttosto che di piano B. Il discriminante nella nostra analisi sulla questione greca deve essere quello politico e non economico e quindi di vedere nelle relazioni di forza della lotta di classe il vero motore della Storia. In questo senso non possono esistere piani A o piani B, ma un solo e unico piano: non si tratta con l’imperialismo quindi non si tratta con l’UE, con la Troika perché questa crisi sistemica dimostra che non c’è possibilità di riformare il capitalismo. L’unica strada è quella politica e sta nella possibilità del movimento internazionale dei lavoratori di esprimere profonda conflittualità per costruire le condizioni attraverso la lotta di classe per porre in essere un percorso radicale di trasformazione nella prospettiva della rottura dell’Unione Europea e dell’uscita dall’Euro, lavorando a un’alternativa sistemica che, come CESTES, centro studi della USB, qualifichiamo da oltre cinque anni nel senso teorico, ma soprattutto nei processi pratici di lotta per la costruzione dal basso di un’ALBA Euro-Afro-Mediterranea nella concezione di una democrazia popolare e partecipativa.



Ciò che si va delineando è la permanenza in chiave drammatica e distruttiva per la Grecia nell’Eurozona, a prezzo di ripercussioni che potranno essere sempre più dure sui lavoratori greci. Quali crede possano essere le prospettive interne all’UE e all’Eurozona a questo punto?

Prima di tutto bisogna fornire dei dati: dal 2008 al 2014 il PIL dell’Eurozona è cresciuto in valore assoluto di 700 miliardi di Euro. Nello stesso periodo, il debito complessivo- pubblico e privato- è cresciuto, sempre in valore assoluto, di 2200 miliardi di Euro. Se ne evince che per finanziare una supposta crescita appena percepibile e mai qualitativa dell’Eurozona è necessario un debito tre volte superiore per sopperire alla caduta del saggio di profitto all’interno di questa crisi sistemica del capitalismo. L’ipotesi di crescita per l’Eurozona nel 2015 è di meno di 245 miliardi di euro, a fronte di un debito per interessi annuali da pagare nel 2015 di oltre 255 miliardi di euro, il che significa che i paesi dell’Eurozona con il PIL realizzato non riescono neppure a rimborsare il debito sugli interessi che saranno così capitalizzati!

Non ci sono altre soluzioni al momento, bisogna come hanno fatto l’Argentina, l’Ecuador ecc. non pagare il debito illegittimo al sistema finanziario internazionale, trasformare i flussi destinati a pagare il debito ad investimenti qualitativi di carattere sociale e rompere le relazioni con gli organismi finanziari del capitale a partire dalla Troika. Insomma il movimento internazionale di classe, e oggi in particolare qui nel Sud Europa, deve avere il coraggio politico di cercare percorsi di lotta per rompere questa gabbia e costruire un’alternativa indipendente per il movimento dei lavoratori.



Per Lei la prospettiva della Grecia sarebbe dovuta essere quella di un ritorno alla Dracma?

La condizione era solo quella di un’uscita da questo polo imperialista dell’Unione Europea, ma non del ritorno alla Dracma e a forme di nazionalismo e razzismo volute dalla destra europea. L’esperienza dell’ALBA del Sud America ci ha insegnato che si possono mettere in moto meccanismi di democrazia partecipativa per il miglioramento significativo delle condizioni di lavoro e di reddito, per la redistribuzione sociale della ricchezza, con una seria ed efficiente tassazione dei capitali, con le nazionalizzazioni e altre esperienze condivisibili di compatibilità socio-ambientale che permettono di accumulare forze necessarie a ribaltare i rapporti di classe in Europa come è avvenuto in Venezuela, Bolivia, Ecuador, ecc.

È senz’altro vero che la Germania potrebbe trarre vantaggio da un’uscita dei PIGS dall’area Euro? Ma anche se fosse un favore provocatoriamente dico che va accordato poiché il problema dell’uscita che va posto non deve guardare solo al piano monetario, ma si tratta di uscire dall’Unione Europea e più in generale di creare una idea politica di transizione al socialismo per rompere con l’idea riformista e keynesiana che questo capitalismo possa essere riformabile.

E’ per questo che l’alleanza che prefiguriamo come ALBA Euro-Afro-Mediterranea è in primis politica e da un punto di vista generale del cambiamento delle relazioni capitale-lavoro deve passare da subito per un percorso di nazionalizzazione del sistema bancario perché senza questo passaggio non si può parlare di uscita dall’Euro né dalla UE. E al contempo se non si nazionalizzano i settori strategici e se non si pone in essere un piano di diversificazione produttiva a compatibilità socio-ambientale sulla prospettiva della transizione al socialismo, allora qualsiasi idea e proposta di uscita dall’Euro rimarrà comunque entro un tracciato di conformità al capitalismo e all’imperialismo.



Qual è la Sua opinione sulla posizione espressa dal KKE prima, durante e dopo il referendum?

Sarebbe semplice dire ora che il KKE aveva ragione o che avessero ragione tutti coloro che come noi ragionavano e ragionano sull’impossibilità di qualsiasi trattativa con la Troika. Noi del CESTES esprimiamo da anni la posizione che con questa costruzione imperialista europea non si deve trattare semplicemente perché non si può in quanto non sono dati i rapporti di forza a favore dei lavoratori.

Avendo origini da una famiglia contadina del nostro profondo Sud, sono realisticamente consapevole che “A cu’ si fa’ pecura, lu lupu si lu mangia!” cioè “chi pecora si fa, il lupo se lo mangia”; questo capitalismo non è riformabile, scendere a trattative e a impossibili patti con l’Unione Europea non poteva che portare a questo epilogo. In un contesto in cui è in gioco la leadership mondiale dei prossimi decenni fra area dell’Euro e del dollaro, la forza nella trattativa da parte del governo greco sarebbe stata quella di dare un esempio negativo e di rottura verso la dittatura economica e finanziaria della UE a prescindere dal peso del PIL greco, ed infatti, così era da intendere quanto affermato da Draghi nei giorni scorsi, cioè la Troika non poteva assolutamente permettere che ci fosse un esempio di vittoria reale dei processi di autodeterminazione dei popoli.

Ciò che da comunista anche rispettosamente nel riconoscere la loro grande capacità di mobilitazione e di internità al movimento dei lavoratori soprattutto attraverso la forza di rottura del PAME (importante sindacato di classe e che come la USB svolgono ruolo di punta di diamante nelle lotte della Federazione Sindacale Mondiale, mi permetto di rimproverare al KKE che non si può ragionare semplificando solo nei termini di rivoluzione o non rivoluzione, non è più il momento del tutto e subito. La posizione dell’astensione rispetto al referendum in Grecia da chiunque espressa o appoggiata non è da me condivisa.

Ovviamente auspicavo e auspicavamo che l’esito della consultazione sarebbe dovuto essere assolutamente il NO per il rigetto delle proposte dei creditori, ma provocatoriamente già sostenevo prima dell’esito che il referendum sarebbe stato una vittoria per il popolo greco anche se fosse passato il sì, in quanto poneva al centro il tema della dittatura imposta dalla Troika e in contrapposizione ai processi di autodeterminazione dei lavoratori e di democrazia partecipativa nel ruolo decisionale dei popoli.

Ad ogni modo il massimalismo non paga e oggi più che mai è comunque poco significativo sostenere di aver avuto ragione né muoversi nell’ottica che tutti sono nemici del popolo e che Tsipras è un traditore. Non mi è mai piaciuta la categoria del traditore, preferisco ragionare sempre con categorie squisitamente politiche. Tsipras non ha tradito, ma ha scelto un’opzione sbagliata e ne pagherà le conseguenze con il suo governo, dovendo andare ad elezioni anticipate appoggiandosi ai voti della destra, data la defezione di quasi metà del suo partito. Bisogna lavorare su questa contraddizione, sulla capacità di costruire conflitto sociale organizzato poiché la lotta di classe non si muoverà mai sul piano dell’indifferenza dei rapporti di forza.