La pazza idea su scioperi e conflitti: le aziende possono essere selvagge ma i lavoratori devono essere civili

Roma -

Nel suo intervento in Senato alla presentazione della annuale relazione alle Camere sull’attività della “Commissione di Garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali”, la Presidente del Senato Casellati ha parlato di “civilizzazione del conflitto”.

Ora, in un Paese civile il conflitto sindacale dovrebbe non aver mai bisogno di essere incivile o di essere percepito tale. In un Paese civile, e non stiamo parlando di un Paese con le forze del lavoro al governo, il conflitto dovrebbe non solo rappresentare l’extrema ratio, ma dovrebbe rappresentare una vera e propria rarità.

E invece nel nostro Paese il conflitto è la prassi, ma non perché i lavoratori provino gusto a perdere i soldi della giornata o a dover manifestare sotto i Palazzi o di fronte alle aziende, bensì perché la civiltà del lavoro si è smarrita.

Quando ci sono aziende che non pagano per mesi i propri dipendenti, quando i contratti vengono bloccati per anni, quando fioccano licenziamenti e delocalizzazioni, quando i padroni si riempiono le tasche di finanziamenti pubblici o ottengono misure di sostegno dallo Stato e poi scappano dal Paese, quando gli accordi sottoscritti vengono disattesi nelle parti più rilevanti, quando della pelle di chi lavora non gliene frega niente a nessuno e i morti nei luoghi di lavoro si contano a centinaia, quando insomma il fattore lavoro è parte debole nel confronto con il fattore capitale che esprime, esso sì, selvaggiamente i propri interessi, allora il conflitto diventa non solo necessario ma intrinsecamente giusto.

Nella relazione commentata dalla Presidente del Senato emerge una attività repressiva del conflitto di forte impatto, fenomeno di cui il Presidente della Commissione di Garanzia si vanta assai. Sono diminuiti gli scioperi, dice, ma poi scopri che sono aumentati gli interventi per impedirli, Cgil Cisl Uil non scioperano più (e anzi adesso lanciano lo sciopero virtuale), dice sempre la Relazione ma subito dopo aggiunge che chi sciopera, il sindacalismo di base, lo fa non per difendere gli interessi dei lavoratori dal rabbioso contrattacco del capitale ma per certificare così la propria esistenza in vita. E giù a chiedere al Parlamento, che si disinteressa di controllare come la Commissione attua il mandato affidatole dalla legge, ancora più poteri, ancora più strumenti repressivi da utilizzare a piene mani.

Chi lavora nei servizi pubblici sa quanto già oggi sia difficile lottare per veder rispettati i propri diritti. La

commissione dice che l’adesione agli scioperi è scarsa ma ovviamente omette di esplicitare che ciò è frutto soprattutto dei lacci e lacciuoli che rendono impraticabile l’astensione dal lavoro quando questa serve, quando non arriva lo stipendio o quando le condizioni di lavoro diventano insopportabili.

Dover attendere settimane, spesso anche mesi per avere il diritto a scioperare su una vertenza, la svuotano di senso e di funzione e di questo chi dovrebbe scioperare ha una percezione nitida.

Il prossimo 27 giugno l’Unione Sindacale di Base sarà al Parlamento, a presentare a chi ci vorrà ascoltare, una controrelazione in cui proveremo a spiegare a lor signori il nostro punto di vista, sperando che a qualcuno sorga il dubbio che, per quante delibere, indicazioni, divieti, multe la Commissione voglia fare, quando c’è da lottare per i propri diritti i lavoratori lottano e la USB non si fa certo fermare.

 

Unione Sindacale di Base