La via italiana contro la disoccupazione: contratti precari e lavoro che uccide

Pavia -

Due notizie che sembrerebbero non avere nesso fra loro, a sentire i commentatori e i sindacalisti subito chiamati a dire la loro:

1) scende la disoccupazione ma scendono anche le ore lavorate;

2) ad Arena Po (Pavia) 4 lavoratori indiani morti ammazzati mentre operavano in una cisterna di liquami.

La diminuzione di ore lavorate mentre diminuisce l’occupazione segnala il fatto che molti, troppi lavoratori, subiscono contratti precari, a part time obbligatorio e comunque a tempo determinato. Segnala che se si assume lo si fa facendo ricorso alle mille forme di precarietà oggi concesse ai padroni per avere a disposizione manodopera a basso costo e di fatto senza diritti perché quotidianamente ricattati dalla loro condizione di precarietà. A maggior ragione se si è migranti e il proprio permesso di soggiorno è subordinato all’avere un posto di lavoro, come stabilito dal Decreto Sicurezza.

Intanto gli omicidi sul lavoro crescono a ritmo incessante, toccando livelli difficilmente raggiunti nell’era moderna in un Paese sviluppato come il nostro.

Di fronte a questa vera e propria strage di uomini e donne tutti si affannano a dire che manca la prevenzione, che c’è necessità di formare i lavoratori sulle normative di sicurezza, che servono più controlli e ispezioni, eccetera eccetera eccetera. Tutte cose giuste naturalmente, tutte cose che sono state ripetute fino alla nausea, tanto da diventare quasi banalità, e che non hanno mai dato frutti concreti, come ci avverte sinistramente la contabilità dei morti.

Certamente non aiutano le normative che consentono appalti al massimo ribasso e la possibilità di impiegare i lavoratori per poche ore al giorno e per pochi spiccioli, non aiuta l’aver smontato i sistemi ispettivi del lavoro e degli enti come l’INAIL e l’INPS per costruire un ispettorato burocratico e farraginoso, non aiutano i continui tagli al sistema sanitario e alle Regioni, che hanno riversato questi tagli anche sull’attività di vigilanza antinfortunistica che sarebbe di loro competenza.

Ma è evidente che non si affronta il problema senza un profondo cambiamento che elimini le ragioni strutturali degli omicidi. Se i lavoratori e le lavoratrici non potranno pretendere il rispetto delle normative di sicurezza, non potranno rifiutarsi di eseguire lavori pericolosi in ambienti pericolosi perché sotto la minaccia del licenziamento o del non rinnovo del contratto, e quindi per i migranti del non rinnovo del permesso di soggiorno, oppure della perdita del committente, come nel caso di Arena Po, sarà ben difficile fermare la mattanza.